giovedì 19 gennaio 2017

Autobiografia valenziale di un insegnante (Marco Carosso)

Marco Carosso è docente di italiano presso la scuola secondaria di I grado "Gozzano" di Caluso (TO). Da anni conduce esperimenti grammaticali in chiave valenziale che trasformano le sue classi in laboratori di lingua. Ho già avuto occasione di parlare delle belle mappe lessicali che costruisce insieme a ragazze e ragazzi. Qui raccolgo la sua testimonianza sull'incontro con la grammatica valenziale, sui percorsi fatti in classe e sui materiali di autoapprendimento prodotti traendo spunti dagli schemi di frase del modello Sabatini.


D - Come è avvenuto il tuo incontro con la valenziale?
R - "In principio fu il DISC...". È cominciata così... Superata la selezione per entrare alla SIS di Torino, uno dei primi corsi in cui sono capitato è stato "Didattica della lingua italiana e delle sue varietà", tenuto dalla prof. Lucia Fontanella dell’Università di Torino: la persona che ha cambiato la mia vita di insegnante, che mi ha assistito nei percorsi didattici che ho sviluppato nei miei primi anni da insegnante, e che ancora oggi mi consiglia sulle proposte che faccio alle mie classi.

L'idea di didattica che ci ha offerto fin dalla prima ora di lezione era incentrata sugli strumenti di consultazione (in particolare i dizionari) e su una rimeditazione delle ore di grammatica a scuola: ricordo benissimo che uno dei primi testi che ci ha consigliato è stato il volume Linguistica ed educazione linguistica (1978) di Monica Berretta.
Il primo dizionario (in formato elettronico) che ci è stato presentato è stato il DISC, con tutti i suoi apparati. Ricordo i giochi linguistici che c'erano al suo interno (difficili!). Essendo io curioso e molto interessato alla grammatica, gironzolando nel dizionario ho notato delle formule un po' enigmatiche, associate alle voci verbali: erano le formule valenziali. È con la loro scoperta che ho iniziato prima a interessarmi, poi a studiare il modello valenziale.

Per iniziare a formarmi un'idea più precisa, il primo testo di cui sono andato in cerca è stato "La comunicazione e gli usi della lingua" (Loescher) del prof. Sabatini, libro che ho avuto la fortuna di reperire in una libreria dell'usato e che mi ha permesso di iniziare a mettere insieme le idee: verbi, formule sul dizionario, cose che in una frase dovevano esserci, altre che non erano essenziali, rappresentazioni grafiche delle strutture frasali molto affascinanti...
Insomma, un modo completamente diverso di guardare alla sintassi, molto stimolante! Soprattutto, molto logico! Che mi permetteva di rintracciare nella mie competenze di parlante tutti gli strumenti e i criteri per distinguere i diversi legami con i quali si formano le frasi nella mente!

Concluso il percorso di formazione presso la SIS, sono arrivati i giorni dell’individuazione della scuola in cui lavorare. Ho avuto la possibilità di scegliere come primo istituto la media in cui insegno tuttora: la Scuola Secondaria di I grado “G. Gozzano” di Caluso, in provincia di Torino. L’ambiente si è dimostrato subito molto accogliente, sia per quanto riguarda i colleghi, sia per quanto riguarda la dirigente, prof. Marzia Giulia Niccoli, che fin dal primo colloquio ha dimostrato interesse per il tipo di proposte didattiche che avevo in mente, su cui avevo lavorato e per le quali mi ero preparato negli anni precedenti.

Si trattava di proporre alle mie classi percorsi di educazione linguistica basati su due assi fondamentali: la pratica degli strumenti di consultazione (soprattutto di carattere lessicografico) e l’autoproduzione di materiali di apprendimento. L’idea era quella di una classe-laboratorio. Per fare questo, avevo bisogno di un videoproiettore (le LIM non c’erano ancora) e di lavorare con un PC (oltre che di alcuni strumenti di consultazione), in modo da rendere corale e condiviso tutto quel che si svolgeva in classe e di dedicarmi alla grammatica avvalendomi di una risorsa a mio parere fondamentale: la GRAFICA.

Intanto le mie letture si erano estese. Avevo studiato il fondamentale Elementi di sintassi strutturale di Tesnière e avevo allargato la mia attenzione anche ad altri indirizzi di studio della sintassi che già all’università avevo affrontato.
Ecco quindi i primi giorni di lezione. Ed ecco la cosa più gratificante di tutte: l’interesse dei miei allievi! Che sin dal primo anno hanno partecipato attivamente, con la loro curiosità, il loro ingegno, e la loro passione per la scoperta, ai percorsi che ho iniziato a proporre. Sono davvero loro i protagonisti del modo col quale la valenziale è diventata uno degli assi portanti del nostro modo di riflettere sulla lingua in classe.

Con l'inizio della sperimentazione del modello in classe, sono iniziate anche le prime difficoltà di ordine didattico che solo la pratica effettiva poteva far emergere (Come strutturare un percorso esaustivo? Cosa fare prima, cosa dopo? Quanto approfondire l’osservazione di determinati fenomeni? Che rapporto stabilire con le modalità di analisi tradizionali?).
Benché la risposta degli allievi fosse più che soddisfacente, il loro interesse alto e le mie idee sul come procedere chiare, ho sentito il bisogno di confrontarmi su alcune questioni teoriche e metodologiche con alcuni professori dell’Università di Torino e con studiosi di altre Università, che si erano dedicati alla valenziale e alla sua divulgazione in prospettiva didattica.

In questo modo ho avuto l’opportunità di entrare in contatto prima, poi di confrontarmi – consolidando un rapporto di fiducia e di amicizia – con il prof. Francesco Sabatini, che è stato anche ospite della nostra scuola. I suggerimento e l'incoraggiamento che il prof. Sabatini mi ha dato sono stati per me fondamentali per proseguire il mio percorso di didattica del modello.
Le riflessioni che sono scaturite nel tempo sia dal confronto diretto con lui e sia dalla consultazione e dall’adozione delle sue grammatiche scolastiche uscite per Loescher (Sistema e Testo, 2011 e la mia lingua, 2013) mi hanno consentito di consolidare una programmazione organica e bilanciata, in cui l’apprendimento degli studenti fosse favorito da un procedere nella riflessione grammaticale sempre più specifico e articolato, senza mai perdere il contatto con gli elementi portanti di ogni ambito di studio della grammatica.

 
D - Come si svolge il tuo lavoro in classe? 
R - Se nel ripensare alle tante ore dedicate allo studio della valenziale nella mie classi devo individuare un tratto davvero saliente del nostro procedere, non posso che pensare alle rappresentazioni grafiche delle strutture sintattiche: come già accennato, l’affrontare la sintassi anche come un sistema di rapporti tra le parole che può avere una sua espressione grafica è senza dubbio tra gli elementi di maggior stimolo delle capacità di riflessione metalinguistica di uno studente.
Proprio per questo, col passare del tempo (e andando ad affrontare fenomeni sempre più complessi) ho elaborato con i miei studenti una modalità di rappresentazione grafica delle frasi che da una parte si rifà alle rappresentazioni ad albero rovesciato (gli stemmi) di Tesnière, dall’altra alle categorie teoriche e terminologiche (argomenti, circostanti ed espansioni) elaborate dal Prof. Sabatini.
Questo è avvenuto perché in classe sentivamo il bisogno di disporre di uno strumento che ci consentisse di lavorare con la grafica in modo rapido, esteticamente soddisfacente e molto ordinato. La soluzione è stata dunque l’adozione di un bellissimo, straordinario programma per la costruzione di mappe concettuali (che, come si sa, spesso si presentano come strutture ad albero): Cmap.
Cmap è davvero uno strumento eccezionale: in classe  lo usiamo tantissimo per costruire vere e proprie mappe concettuali di linguistica e di geostoria ma, deflettendo dal suo uso “ortodosso” e dunque piegandolo ai nostri bisogni grafici – anche per ottenere rappresentazioni ad albero rovesciato delle strutture frasali dal forte mordente cromatico.

 
 


 
 
 
Il risultato è che studiando la lingua i ragazzi costruiscono con le loro mani delle vere rappresentazioni grafiche delle frasi e che – costruendo – “fabbricano” il loro materiale di apprendimento; materiale che, unito alla consultazione dei dizionari (il http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/in primis) e al libro di grammatica, diventa la colonna portante del nostro lavoro.
 
D - Che rapporti intrattieni con la grammatica tradizionale?
R - Sono molto sensibile all’importanza di non dimenticare mai da dove si viene. Quando ero studente, è stata la grammatica tradizionale quella che ho studiato (spesso, con alcuni insegnanti, divertendomi!). Come dimostra con rigore, precisione - in prospettiva storica - il libro di Giorgio Graffi La frase: l’analisi logica (Carocci, 2012) ci sono concetti dell’analisi tradizionale che non possono essere accantonati.
Tutto il lavoro di riflessione metalinguistica che sviluppo nelle mie classi non si pone come opposizione (o rifiuto) al modello di analisi  tradizionale di cui molto deve essere mantenuto e magari aggiornato (penso in particolare all’analisi del periodo e alle sue utili classificazioni) ma, piuttosto, come l’occasione di una rivisitazione critica di molti suoi concetti (penso qui invece ai tanti complementi dell’analisi logica e all’arbitrarietà “semantica” con cui spesso vengono appioppati ai costituenti frasali) che la prassi scolastica tradizionale mantiene e che spesso deviano dai tanti centri di riflessione che la ricerca linguistica moderna ha individuato negli ultimi decenni applicando rigorose metodologie scientifiche (penso al verbo, al ruolo esclusivo che ha nel dare un significato davvero preciso ai “complementi”, ecc.).
In effetti alcune delle mappe di linguistica che ho costruito con i miei allievi presenta proprio un taglio comparativo: vengono osservati gli stessi fenomeni da due punti di vista. Quello della linguistica moderna e quello della grammatica tradizionale.
Insomma, per fare un esempio pratico, seguendo questo approccio critico-comparativo in classe, gli studenti imparano a osservare che nella frase “Silvia pensa di partire per Milano” il costituente “di partire per Milano” è tradizionalmente una “subordinata oggettiva implicita di I grado”. Ma prima di questo (e insieme a questo) sanno riconoscere che “di partire per Milano” è il 2° argomento oggetto diretto richiesto dal verbo “pensare” (un elemento dunque indispensabile al verbo). E osservano anche che il “di” di “di partire per Milano” è tradizionalmente considerato una preposizione ma (richiamando la prospettiva della grammatica generativa) va piuttosto considerato come un "complementatore", ossia un semplice introduttore del secondo argomento oggetto diretto (cioè, appunto, non introdotto da preposizione) richiesto da questa specifica accezione del verbo ‘pensare’ per formare il nucleo della frase.
 
 
 
Ma non vorrei addentrarmi troppo negli aspetti tecnici. Metterei in ombra ambiti della pratica della grammatica valenziale che invece sono tra i più larghi: oltre alla forte connessione con la pratica dei testi, il modello favorisce in massima misura la riflessione semantica (penso in particolare all’attenzione richiesta nell’individuazione dei vari significati che può assumere uno stesso verbo, alla sua polisemia) e, contemporaneamente, l’arricchimento lessicale (che tipo di parole, argomenti, può reggere un verbo? Quali sono i ruoli semantici che possono assumere i vari argomenti? E se ne faccio un uso figurato?). E così via. Insomma, si studia la grammatica ma si accresce tantissimo il proprio lessico e il suo trasferimento consapevole in messaggi reali, in testi.
 
D - E i rapporti coi colleghi come vanno?
R - Ho iniziato a proporre lo studio del modello nelle mie classi circa otto anni fa. Consolidandone la pratica e apprezzando i risultati che i miei allievi raggiungevano, ho iniziato a proporlo ai colleghi interessati, attraverso dei corsi propedeutici.
Nel tempo, a volte con qualche titubanza riconducibile all’iniziale scarsa confidenza con i suoi concetti e la sua terminologia, diversi colleghi hanno iniziato la sua pratica nelle loro classi (quest’anno, per dare un’indicazione, cinque classi prime hanno rinnovato l’adozione di Conosco la mia lingua). Oggi alcuni di loro ne hanno consolidato la pratica e sono ormai insegnanti con tante ore di esperienza alle spalle.
Negli ultimi anni, sono arrivate delle richieste di formazione da parte di altre scuole. Così, da qualche tempo, ho iniziato a tenere presso la nostra scuola dei corsi per docenti esterni. Anche più corsi in un anno (modulati su un livello base ed uno avanzato). Corsi che hanno sempre avuto per me come obiettivo la diffusione del modello nelle scuole del nostro comprensorio, anche in un’ottica di curricolo verticale.
Mi fa piacere ricordare che l’anno scorso, in occasione di due di questi corsi aperti a docenti esterni, hanno tenuto l’ultima lezione - in veste di formatori - i miei stessi allievi (delle allora classi II C e II M) che, senza alcun programma prestabilito e senza la preliminare conoscenza delle domande che gli sarebbero state rivolte, si sono messi a disposizione della curiosità dei colleghi per mostrare quali erano le competenze linguistiche maturate in due anni di lavoro sul modello. I ragazzi hanno ricevuto tanti complimenti e sono contento di avere l’occasione di ringraziarli ancora una volta in questa occasione per la loro disponibilità.
Proprio in questi giorni, anche su proposta di colleghi di altre scuole che hanno partecipato ai corsi di valenziale organizzati dalla nostra scuola, si sta istituendo una rete tra scuole anche sul nostro territorio: un nuovo “Circolo valenziale” come altri di cui hai parlato in questo blog. Sarà formato dalla Media Gozzano di Caluso, dall’Istituto Comprensivo di Pavone Canavese, dall’Istituto Comprensivo Settimo IV (di Settimo Torinese), dall’Istituto Comprensivo di Volpiano e dal Circolo Didattico di Caluso.
Altri istituti stanno dando segnali di interesse per questa iniziativa e l’obiettivo, tra gli altri, è di diffondere, a partire dall’esperienza e dalle sperimentazioni dei singoli docenti che hanno scelto di partecipare attivamente alla rete, la pratica del modello sia all’interno delle nostre scuole e sia nelle altre scuole della nostra area, anche in prospettiva verticale.
Per me è fonte di grande piacere fare finalmente parte di un gruppo di docenti che si impegna in un confronto continuo sulla pratica del modello: l’immagine che più ricorre nella mia mente è proprio quella di un sodalizio di insegnanti che si siede ad un tavolo e pensa, propone, discute, affronta problemi e propone soluzioni utili per un continuo miglioramento della didattica dell’italiano nelle nostre scuole.
Mi piace pensare che questa rete possa crescere nel tempo, articolarsi e diffondere sempre di più la pratica del modello attraverso una sua equilibrata modulazione nei diversi ordini di scuola.
 

 

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