sabato 11 febbraio 2017

La grammatica vista dal cielo

Per sollevarci dal peso di una quotidianità spesso conflittuale e osservare la grammatica alla giusta distanza, vi propongo oggi di sfogliare uno splendido albo illustrato che ho acquistato recentemente in Francia.



Si intitola Le français vu du ciel. Voyage illustré en langue française, è stato pubblicato da un piccolo editore (Zeugmo) in collaborazione con un grande (Le Robert), ed è stato realizzato da Marion Charreau, un'illustratrice francese con esperienze di insegnamento del francese come lingua straniera a Barcellona, dove vive.

Appassionata di infografica, l'autrice ha messo la sua capacità di costruire "carte mentali" al servizio delle esigenze dell'apprendimento di una lingua ritenuta "difficile" per la sua complessità grammaticale e per la maggiore distanza (rispetto a lingue come italiano e spagnolo) tra grafia e pronuncia.
Nelle sue carte linguistiche le regole e i paradigmi del francese diventano visibili e comprensibili.

Le sfida dell'albo illustrato che ho in mano è quella di unire le varie carte (dedicate ai diversi aspetti della grammatica: flessione e combinazione delle parole, selezione lessicale, varietà linguistiche, aspetti pragmatici, ortografia) in un racconto. Il racconto di un viaggio nel territorio delle parole utile non solo per i più piccoli (catturati dalle immagini colorate e dalla storia), e per gli studenti stranieri (agevolati dalla potente sintesi realizzata dalle mappe), ma anche per tutti quegli adulti le cui conoscenze grammaticali (risalenti ai ricordi scolastici) andrebbero non solo rinfrescate, ma aggiornate alla luce dell'evoluzione della lingua e della sua descrizione (perché le lingue cambiano, e così il modo di studiarle): insegnanti, genitori e nonni, studenti di francese, curiosi e amanti della lingua.

Il viaggio grammaticale è un'idea già sfruttata in una fortunata serie di romanzi grammaticali dallo scrittore francese Erik Orsenna. Ma che acquista qui una finalità pedagogica più ampia: possiamo limitarci a sfogliare le belle immagini dei paesaggi della lingua, seguire le scoperte dei protagonisti come in un libro di avventure, o soffermarci sulle informazioni grammaticali che ogni mappa (con le sue ramificazioni e i suoi fumetti), dispone in modo ordinato dal centro alla periferia.
Propongo qui alcune immagini per dare un'idea della ricchezza, dell'aggiornamento e dell'efficacia didattica di queste carte:

questa è la montagna dei verbi




e questo il tubo dei pronomi:



L'aspetto più notevole del libro risiede, a mio parere, nella capacità di ancorare la descrizione della lingua alla realtà: anche se il viaggio ci porta in un territorio fantastico, i personaggi che incontriamo e le regole che (ri)scopriamo si traducono subito in azioni: scrivere una lettera, chiedere informazioni, esprimere le proprie emozioni, dare ordini, usare la cortesia linguistica, argomentare le proprie idee, perfino riassumere...

Non pensate anche voi che avremmo bisogno di un libro così per la lingua e la grammatica italiana?
Per insegnare e per migliorare l'italiano: quello parlato e scritto da noi italiani/e maggiorenni.

lunedì 6 febbraio 2017

"Tutta la città ne parla": i ragazzi non sanno l'italiano e la grammatica?




Oggi sono stata invitata a intervenire nel corso della trasmissione di Radio3 "Tutta la città ne parla", all'interno di un dibattito sull'appello dei Seicento professori. Non ero tra i firmatari, anche se al tema ho dedicato riflessioni e una parte della mia ricerca. Sono stata interpellata per la mia proposta grammaticale: che la valenziale sia un antidoto ai mali denunciati?

Nel raccogliere rapidamente le idee per il mio intervento ho cercato di mettere a fuoco i presupposti della questione:

-  le lamentele sull’italiano approssimativo degli studenti costituiscono un topos delle conversazioni tra docenti universitari di tutte le sedi e facoltà almeno da quando io sono entrata all'Università come studente, cioè dagli anni Novanta, e le raccolte di strafalcioni studenteschi sono argomento di risate amare tra colleghi, oggi che nell'Università insegno

le lamentele sono alimentate da un effettivo, e nel complesso ben documentato, «décalage longitudinale delle prestazioni linguistiche» (De Mauro) dall’infanzia alla giovinezza, nonché dagli esiti delle indagini internazionali sulla literacy (capacità di lettura e comprensione di un testo). La questione linguistica è sempre - come ben sapeva Gramsci - un  problema civile e riguarda tutti, adulti inclusi

- la principale imputata, insieme con i nuovi mezzi di comunicazione, è la scuola, ritenuta incapace di fornire ai futuri cittadini una preparazione linguistica di base

- i promotori dell'appello puntano il dito anche su una presunta "svalutazione della grammatica e dell'ortografia" che risalirebbe agli anni 70, con una critica implicita ai presupposti dell'educazione linguistica democratica 

-  i promotori sollecitano un intervento da parte del governo del sistema scolastico e in particolare una revisione delle Indicazioni nazionali che dia rilievo alle competenze linguistiche di base

- la soluzione proposta è il ritorno a una "scuola esigente", che promuova le pratiche del "dettato, riassunto, comprensione del testo, analisi grammaticale e scrittura corsiva", e sia più rigorosa nel controllo degli apprendimenti e nelle valutazioni


- si propone anche la creazione di una sorta di organismo di controllo degli apprendimento formato da docenti del grado superiore di scuola, o comunque da esterni



Cerco di schematizzare qui le linee del mio intervento (o almeno di quello che avrei voluto dire e in parte sono riuscita a dire):

- i fatti sono fatti, innegabili e preoccupanti (io stessa ho orientato la mia ricerca verso la didattica dell'italiano dopo uno studio sulle competenze e lacune linguistiche delle/gli studenti in entrata condotto in un corso di laurea a numero chiuso frequentato da studenti eccellenti) 


- le Indicazioni nazionali sono un testo troppo poco letto e applicato: insieme a parti opache e discutibili, contengono infatti l'indicazione di fini, mezzi e modi nuovi di procedere nella didattica dell'italiano. Soprattutto, indicano la via per costruire curricoli di Istituto sensati e coerenti, ovvero percorsi caratterizzati da progressione dei contenuti (tenuto conto del grado di sviluppo cognitivo dei discenti e delle specificità educative dei diversi gradi di scuola) e coerenza metodologica (si parla per la prima volta di scelta un "modello grammaticale di riferimento").

- la recente riduzione delle ore di italiano nelle scuole è senz'altro un fatto preoccupante, tanto più che ancora non ne vediamo le conseguenze all'università. Ma è soprattutto il modo in cui si fa grammatica (privo di gradualità e di scientificità, basato su pratiche astratte di analisi e classificazione anziché su metodologie attive) a risultare inefficace: nella scuola dell'obbligo, come denunciava Adriano Colombo, si fa tanta grammatica ma se ne impara pochissima. Nel triennio, poi
, si abbandona per far spazio alla storia letteraria

- quello di cui abbiamo bisogno non è l'ennesima riscrittura dei documenti ministeriali, ma un impegno serio da parte delle Università e del Governo per una formazione e un aggiornamento più incisivi degli insegnanti sui temi della linguistica e della grammatica, capaci di contrastare la forza del "curricolo implicito", ovvero la tendenza a riproporre sempre gli stessi temi nello stesso ordine e con lo stesso approccio che abbiamo sperimento in prima persona nella buona scuola del tempo che fu 

- serve un impegno concreto delle scuole nella progettazione e sperimentazione di curricoli verticali: uno dei problemi dell’insegnamento della grammatica è che  è troppo anticipato e abbandonato troppo presto perché viene sottovalutata la complessità della grammatica e sopravvalutata la maturità degli studenti (per le conoscenze grammaticali dovrebbe valere la stessa accortezza di quelle algebriche: nessun insegnante affronta le funzioni alle primarie, né deve ripartire dalle tabelline alle medie...)



- serve una maggiore disponibilità degli insegnanti a ragionare per "competenze" anziché per "contenuti": che cosa sanno fare con le parole? e non solo: che cosa sanno sulle parole? E anche: qual è il traguardo ragionevole per il mio grado di scuola e la mia classe (alfabetizzazione di base, conoscenza sistematica del sistema, sviluppo di abilità specifiche)? Come accompagno gli/le studenti al traguardo delle competenze? 

- serve il coraggio di abbandonare la tradizione scolastica ancorata alla didattica del latino per ripensare la grammatica in modo funzionale alla riflessione sulla lingua madre e al confronto con altre lingue europee (basta aprire una grammatica scolastica di francese, tedesco, spagnolo per rendersi conto che partire dall'articolo o enumerare decine di complementi sono specialità tutte italiane, che nessuno però imita - a differenza di quelle culinarie)

- bisogna puntare a una grammatica essenziale, rinunciando al troppo e all'inutile: come diceva Montaigne, "meglio una testa ben fatta di una testa bella piena"

- serve una grammatica meno prescrittiva e più descrittiva, che non bolli gli usi diffusi come errori (es. a me mi), ma abitui a riconoscere il grado di adeguatezza delle scelte a seconda delle situazioni comunicative e dei diversi tipi di testi 


-  bisogna riaffermare la centralità dell'educazione linguistica come impegno di tutti i docenti, non solo di italiano (trasversalità

- evitiamo di dare la colpa alla presunta degrammaticalizzazione dell'insegnamento tradizionale avvenuta negli anni Settanta: se rileggiamo le Dieci Tesi per un'educazione linguistica democratica (1975) ci renderemo conto di quanto coraggiosanecessaria fosse la denuncia della pedagogia linguistica tradizionale. Non è l'abbandono di quel tipo di grammatica nozionistica che dobbiamo rimpiangere, ma l'opportunità persa negli ultimi quarant'anni: ancorare lo studio della grammatica a un modello scientifico di riferimento anziché rifugiarsi in una tradizione che oggi appare  ancor più anacronistica alla luce della crescita delle situazioni di pluringuismo, dei disturbi del linguaggio e della ristrutturazione delle modalità di apprendimento (basate sull'imparare facendo)    

- mandiamo un messaggio chiaro agli editori scolastici: gli insegnanti non hanno bisogno di grammatiche ipertrofiche e rassicuranti per quantità di nozioni ed esercizi, né di metodi comportamentisti per insegnare sempre prima a leggere e scrivere o inculcare prima del tempo in testoline refrattarie nozioni astratte, ma di essere sostenuti nella difficile sfida educativa di ancorare la grammatica ai testi, alla conversazione, alla vita


- va bene fare il dettato per rinforzare l'ortografia, ma serve anche maggiore cura dell'oralità, sia a livello di pronuncia (molti errori ortografici dipendono dalla mancata percezione di distinzioni fonologiche) e sia a livello di esposizione e argomentazione (anche al di fuori della "interrogazione")

- va bene fare analisi grammaticale, ma partendo dalla frase e dando definizioni corrette e complete delle categorie e non perdendo mai di vista il quadro di insieme: le parole variabili in italiano si flettono per accordarsi, non per bizzarria. E a che fine memorizzare paradigmi di forme che, nella maggior parte dei casi, fanno parte della competenza spontanea del parlante madrelingua, se poi non riusciamo a riconoscerle e maneggiarle nei testi? Dobbiamo imparare a insegnare diversamente:  partendo dall'osservazione delle regolarità più che dalla illustrazione della regola. Aprendoci al dubbio, alla falsificazione: come nelle scienze

- sottoscrivo senza riserve l'impegno nel promuovere la scrittura in corsivo, a torto trascurata o comunque posticipata nelle scuole primarie perché considerata difficile (specie per i presunti dislessici) a vantaggio dello stampato maiuscolo e maiuscolo che costituiscono il punto di partenza per l'apprendimento della scrittura. La scrittura legata, come aveva ben chiaro Maria Montessori, facilità l'apprendimento della lettura. Né possiamo stupirci che sempre più studenti delle secondarie scrivano in maiuscolo: quando la pratica della scrittura manuale si dirada, si finisce per rifugiarsi in quello che prima si è imparato: lo stampato, appunto.

- sicuramente, come ha ricordato un ascoltatore, dovremmo imparare a valorizzare di più le nostre eccellenze in ambito educativo (come la
didattica montessoriana) anziché rincorrere le mode esterofile: purché si sia capaci di collocare storicamente anche queste pratiche (nate nella scuola del primo Novecento) e portarle nella scuola di oggi senza anacronismi, Nella scuola di tutti, intendo, non solo nella scolarizzazione alternativa verso cui tanti genitori ansiosi si orientano.

- ultimo ma non ultimo: smettiamola di praticare la "distinzione" da homo academicus à la Bourdieu e di incolpare colleghi e colleghe dei cicli precedenti, ribadendo all'interno della classe insegnante una gerarchizzazione implicita che è responsabile dell'assurda corsa all'anticipazione delle tappe. Rivalutiamo la professione dell'insegnante ridando senso e fiducia all'operato di maestre/i e professori/e dei diversi ordini e gradi. Uniamoci, anziché dividerci. Ascoltiamo e mettiamoci a disposizione, invece di ergerci a giudici. Ridiamo forza alla ricerca nella didattica e alla didattica nella ricerca.    

    

E la grammatica valenziale in tutto ciò? E' una proposta ("nuova" di almeno 40 anni, con molti studi e sperimentazioni didattiche alle spalle) che prova ad avvicinare alla riflessione grammaticale partendo dall'osservazione della struttura delle frasi.
Non l'ennesimo "metodo semplice", non una ricetta miracolosa, ma un percorso ragionevole e graduale, che ci aiuta a "vedere" il modo in cui - da parlanti competenti della nostra lingua madre - combiniamo le parole per costruire frasi di senso (e di forma) compiuti.
Da alcuni anni, insieme al prof. Sabatini, propongo questo percorso a insegnanti in formazione (della primaria e della secondaria di primo e secondo grado) e a insegnanti in cattedra interessati a rimettersi in gioco.






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Segnalo alle lettrici e ai lettori questo intelligente articolo di Giuseppe Antonelli, apparso sul Corriere della sera. Interessante anche questo contributo di Claudio Giunta sul Domenicale del Sole 24ore.

Qui la replica di Alberto A. Sobrero, segretario nazionale del GISCEL e  un intervento di Silvana Loiero, del Comitato Direttivo GISCEL, incentrato sulla scuola primaria.

Qui la lettera di risposta all'appello dei 600, scritta da Maria Pia Lo Duca e firmata da linguiste/i e insegnanti. Le istruzioni per sottoscrivere la lettera sono sul sito della SLI.


Per chi volesse avere uno sguardo obiettivo sugli anni Settanta (lontano tanto dalle logiche accademiche delle invidie e rivalse, quanto dal linguaggio autoritario praticato da firme prestigiose di quotidiani nazionali), consiglio di leggere l'articolo In difesa di Tullio De Mauro, scritto da un linguista testimone di quel periodo: Lorenzo Renzi. Cito solo il finale: una lezione di umanesimo contro l'uso dissoluto e smodato dell'argomento ad hominem che dilaga sui social media come nella bocca e sulla penna dei populisti (ed elitisti) di casa nostra:

"Gli insegnanti che vogliono sapere qualcosa sull’italiano che non sia la vecchia grammatica che loro stessi avevano imparato a scuola, ma qualcosa di meglio e di più, leggano Tullio De Mauro. Potranno mettere in pratica una delle tante idee che questo uomo grande e generoso ha seminato in tutta la vita."

Segnalo anche uno Speciale Treccani uscito nel 2015, a Quarant'anni dalle Dieci Tesi