martedì 25 aprile 2017

La valenza nei testi letterari

Da qualche anno seguo con interesse i lavori di Sara Dallabrida, docente di ruolo attualmente dottoranda in "Forme del testo" presso l'Università di Trento, sotto la guida di Patrizia Cordin (già collaboratrice del DISC e autrice, con Maria Pia Lo Duca, del volume Classi di verbi, valenze e dizionari. Esplorazioni e proposte, Padova, Unipress, 2003).

Il primo articolo di Sara Dallabrida che ha attirato la mia attenzione era contenuto in una miscellanea curata dalla stessa studiosa insieme con Paola Baratter (Lingua e grammatica: teorie e prospettive didattiche, Milano, Franco Angeli, "Quaderni del GISCEL", 2009). L'articolo, scritto a quattro mani con Magda Niro, si intitolava Valenze e omissibilità degli argomenti: l'esempio letterario da saturare. Già in questo lavoro (nato da una sperimentazione condotta nel triennio della scuola superiore), la riflessione sulla valenza del verbo (spesso non completata - "non saturata", come si dice tecnicamente, con una metafora chimica - nei testi scritti dagli studenti) era analizzata come tratto identificativo dei testi "elastici" (nella terminologia di Sabatini) per eccellenza: i testi letterari, che lasciano al lettore più ampi margini nell'interpretazione del testo. Le possibili omissioni di argomenti in brevi passi letterari diventano una chiave induttiva per saggiare le competenze grammaticali di studenti chiamati a individuare e definire possibili omissioni di argomenti e integrarli, riflettendo così, indirettamente, anche sulle proprie produzioni.





Un esempio molto efficace di "manipolazione" delle costruzioni verbali a fini letterari è contenuto in un successivo lavoro, scritto con Paola Baratter e intitolato Comprendere in profondità i testi letterari, applicazioni del modello valenziale (in La comprensione: studi linguistici, a cura di S. Baggio et al., Università di Trento, "Labirinti", n. 140, 2012) . Si tratta di un brano tratto da Una storia semplice di Leonardo Sciascia, in cui una valenza verbale sospesa (del verbo trovare, normalmente bivalente) diventa la traccia di un'ipotesi investigativa su un delitto:


Immediata, l’impressione era che l’uomo si fosse suicidato. La pistola era a terra, a destra della poltrona su cui era rimasto seduto: vecchia arma da guerra ’15-’18, tedesca, uno di quei souvenir che i reduci si portavano a casa. Ma c’era, a cancellare nel brigadiere l’immediata impressione del suicidio, un particolare: la mano destra del morto, che avrebbe dovuto penzolare a filo della pistola caduta, stava invece sul piano della scrivania, a fermare un foglio su cui si leggeva: "Ho trovato". Quel punto dopo la parola «trovato» nella mente del brigadiere si accese come un flash, svolse, rapida e sfuggente, la scena di un omicidio dietro quella, non molto accuratamente costruita, del suicidio.

In un contributo del 2014, intitolato La soluzione semantico-sintattica delle omissioni argomentali in alcuni racconti di Buzzati (in "Studi buzzatiani", XIX), Sara Dallabrida analizza il "non detto", e più in particolare l'omissione di argomenti del verbo, come strategia finalizzata ad alimentare la tensione narrativa: il lettore è coinvolto in un gioco di impliciti che mantengono desta la sua attenzione e lo obbligano a ricostruire di volta in volta l'argomento mancante (un soggetto o un oggetto del verbo).
L'omissione del soggetto nella scrittura di Dino Buzzati rientra nella strategia testuale chiamata "ellissi cataforica del tema", tipica della scrittura giornalistica (l'esempio che segue è l'incipit di Strano incontro, da Le notti difficili):

Capita non di raro, nei posti molto affollati, nelle ore cosiddette di punta, nei momenti di maggiore ressa e agitazione. Per esempio all’ingresso dello stadio, quando la gente si pigia per entrare...
 L'omissione dell'oggetto (del verbo aspettare nell'esempio seguente, tratto dal racconto Conigli sotto la luna, in In quel preciso momento) può essere sottolineata fino a diventare la cifra di riflessioni metanarrative ed esistenziali insieme:

Ma i conigli stanno con le orecchie tese, aspettano, che cosa aspettano? Sperano forse di poter essere ancora più felici. Loro non lo sanno. Neppure noi sappiamo, quando insieme agli amici si gioca e ride, ciò che ci attende, nessuno può conoscere i dolori, le sorprese, le malattie destinate forse all’indomani.

Il caso opposto, di aumento della valenza, è esemplificato in un articolo del 2016 intitolato Piovono argomenti nelle narrazioni di Italo Calvino e di Primo Levi (in "Cuadernos de Filología Italiana", 23).  
Già il titolo offre un esempio di aggiunta di un argomento (il soggetto argomenti) allo schema di un verbo zerovalente o impersonale (piovere), con conseguente interpretazione metaforica (il verbo non indicherà il fenomeno atmosferico ma suggerirà l'idea di 'arrivare in abbondanza'). Proprio dei verbi meteorologici piovere e grandinare vengono esaminate le occorrenze con incremento del soggetto in alcune narrazioni brevi di Italo Calvino e Primo Levi.
In alcuni casi (es. piove a dirotto acqua calda e poi tiepida in Levi) il soggetto è coerente col verbo e ha valore espletivo (non dissimile da quello dell'oggetto interno di alcuni verbi: vivere una vita spericolata), in altri l'incoerenza concettuale del soggetto apre lo spazio a metafore che restituiscono la brutalità della guerra (grandinavano sul suo dorso colpi feroci, ancora in Levi; altrove sono i bombardamenti a piovere su Milano).
In Calvino, coerentemente con un immaginario "cosmicomico", a grandinare sono meteore, a piovere dal cielo sono ceneri della digregazione lunare...
L'analisi, poi, si estende anche ai sostantivi corradicali, pioggia e grandine, che - come nomi di evento (e non di cosa, persona ecc. - come da definizione scolastica) zerovalenti - possono analogamente prestarsi a usi letterali e metaforici combinandosi con verbi supporto o aggettivi inconsueti.

Cito infine un altro contributo del 2016 (La parola mitigata: usi reticenti, Spie linguistiche del 'non dire'" in La parola 'elusa': tratti di oscurità nella trasmissione del messaggio, a cura di I. Angelini et al. (Università di Trento, "Labirinti", n. 163), nel quale il criterio valenziale è utilizzato dalla studiosa per analizzare le reticenze nel linguaggio politico e nel linguaggio medico. Anche in questo caso, il concetto di valenza mostra il suo valore euristico: non solo ci permette di riconoscere il tipo di testo in questione, ma ci consente di fare inferenze sulle intenzioni comunicative del locutore (il "non-detto strategico", opacizzante e distanziante) e sugli effetti comunicativi del messaggio (non solo velamento del contenuto, ma smorzamento della componente emotiva).

Spero di aver reso, in questa breve sintesi, la fertilità di questo filone di ricerca, che mostra il valore di un "concetto guida" come la valenza del verbo quando, dall'analisi delle strutture linguistiche, viene trasferito all'analisi dei testi: consentendo di dare sostanza ad affermazioni critiche sulla poetica degli autori che rischiano di rimanere lettera morta se non si appoggiano a dati precisi, a concreti fatti di lingua. 

 




 

 

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