lunedì 2 ottobre 2017

La sventurata rispose



A proposito di valenze non saturate nella lingua letteraria: abbiamo tutti in mente - forza della memoria scolastica - la frase con cui Manzoni mette fine, nel silenzio della narrazione, alla vicenda della monaca di Monza.
La sventurata rispose.
Una frase etichettata come "elusiva" da molte antologie. Ma è davvero così? E se così fosse, come è ottenuto l'effetto di reticenza?
Evidentemente, cancellando due degli argomenti che ci aspetteremmo di trovare alle dipendenze del verbo rispondere: l'espressione del cosa e dell'a chi. Rimane il soggetto: un "incapsulatore nominale" che si incarica di riprendere il nome di Gertrude, aggiungendo un epiteto (sventurata) che dà all'intera vicenda una coloritura morale fosca e drammatica. E il verbo, che rimane come sospeso, in attesa di essere completato.

Riesaminando con più attenzione la frase alla luce di queste osservazioni sintattiche, calate nella realtà del testo romanzesco, e riflettendo sul concetto di "vincolo interpretativo" (Sabatini), capiamo che l'intenzione dell'autore non sarà stata tanto quella di chiudere in fretta una vicenda compromettente, quanto di lasciare aperte le porte, di non saturare l'interpretazione.

Come ha scritto Giuseppe Pontiggia a proposito di questa "frase potente":
Manzoni ci comunica alcune cose essenziali: il rapporto tra passione e sventura e soprattutto l'amore come risposta: come risposta all'altro, alla vita, ai sensi, alla parola.
Va detto che questa frase, diventata quasi proverbiale e come tale citata fuori contesto, segue nel testo - accostata per semplice giustapposizione - a un'altra frase:
Egidio [...], per ozio, [...] un giorno osò rivolgerle il discorso. 
Dunque, a rigore, potremmo supporre che l'argomento o gli argomenti sottintesi del verbo rispondere possano essere ricavati dalla frase precedente: il riferimento anaforico, cioè, ci permette di saturare le valenze del verbo.
Ma resta l'ambiguità, l'apertura interpretativa del testo letterario: è a Egidio che Gertrude risponde? Al suo osare? O al suo discorso ozioso? E se risponde al discorso, è alle parole di cui questo si sostanzia (magari una domanda banale), o a ciò che le parole implicano (l'empia impresa della seduzione)?
In ogni caso, la risposta di Gertrude è evidentemente un : una parolina dotata di grande valore performativo, perché capace di modificare la realtà, di definire destini.

Il procedimento della mancata saturazione di valenze verbali è ancora più sfruttato ed evidente nella poesia.
Ecco allora che, in Montale (I limoni), "la mente indaga accorda disunisce": dove l'assenza del secondo argomento dei verbi disposti in terna crea un effetto di vorticoso e vano girare a vuoto dei pensieri.


                                            Foto Ugo Mulas


P.S.: Questa lettura è solo un esempio della ricchezza delle prospettive interpretative che si aprono quando osserviamo la lingua letteraria con strumenti di analisi fine della sintassi e semantica verbale messi a punto dalla linguistica moderna.
Un altro esempio che mi è capitato di fare nei miei lavori di ricerca riguarda l'uso della ripetizione verbale del tipo Cammina cammina nella prosa manzoniana: una strategia morfologica al servizio della sintassi per indicare la durata, e insieme marca di oralità tipica della tradizione fiabesca di stampo toscano, che Manzoni omaggia nell'ultima edizione del romanzo.

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