lunedì 16 ottobre 2017

L'albero e la foresta (recensione a M. Palermo)

 
 
Ci sono libri che si leggono per dovere, e libri che si leggono con piacere. Tra i libri di linguistica, quelli che mi appassionano sono sempre quelli in cui riesco a "sentire" la voce dell'autore: una voce non urlata ma sicura, arguta ma affabile, capace di sciogliere la complessità dei temi in un discorso arioso perché pieno di aperture. Spesso basta leggere le prime pagine e guardare la bibliografia per convincersene. Cito dalla Premessa del volume di Massimo Palermo Italiano scritto 2.0. Testi e ipertesti (Carocci, 2017):

Se si guarda alle periodiche lamentationes del mondo accademico e mediatico per le scarse competenze di scrittura degli studenti di ogni ordine e grado [...] senza tener conto degli scossoni a cui viene sottoposto il rapporto tra società, sistema di trasmissione delle conoscenze e mondo della scuola, si corre il rischio osservare l'albero perdendo di vista la foresta.
L'elenco dei testi citati in bibliografia ci rassicura sul fatto che l'autore ha percorso la foresta (o meglio, il bosco) in lungo e in largo per restituirci un'istantanea in cui la vegetazione, vista dall'alto, non ci appare più come una macchia impenetrabile, ma come un luogo naturale fatto di alberi di diversa età, statura, fogliame. Un luogo in cui, a inforcare il cannocchiale giusto, d'improvviso appaiono radure. E riusciamo a seguire con benevolenza i tanti Pollicini (per riprendere la metafora di Michel Serres) che, in solitudine, affollano i sentieri intenti a digitare messaggi.

Eccoci dunque guidati in una breve storia delle tecnologie della parola: dall'oralità primaria alla scrittura manuale, coi suoi diversi supporti materiali, quindi alla scrittura a stampa con le sue diverse tecniche, e infine alla comunicazione digitale con mezzi informatici e connessione in mobilità.
Come sono cambiate le nostre modalità di accesso alla conoscenza, di creazione e fruizione di testi in quest'ultimo - recente, rapido e radicale - mutamento? Come sono cambiati di conseguenza i tipi di testo, i contenuti e le forme testuali?
Quali sono le implicazioni per il mondo della scuola, diviso tra fautori del BYOD (bring your own device) e della scuola digitale da una parte, e difensori della scuola tradizionale, roccaforte dell'intelligenza sequenziale e analitica, dall'altra? E' possibile trasmettere un sapere critico con/nonostante i nuovi mezzi di comunicazione? E' possibile insegnare/imparare a scrivere testi "solidi" e controllati in un ambiente comunicativo in cui prevalgono le forme brevi e destrutturate? Può la scuola continuare a fornire gli strumenti per comprendere e produrre testi monologici nei registri più alti della lingua, senza per questo demonizzare i nuovi mezzi e le nuove forme di trasmissione e comunicazione del sapere?
A queste domande risponde efficacemente la seconda parte del libro, che sviluppa un precedente Vademecum per il docente e le sfide della testualità digitale (Speciali Treccani). 

Anche in questo libro, come in altri lavori precedenti di Palermo, la base teorica e metodologica è fornita dagli strumenti della linguistica testuale: in particolare dalla riflessione su generi, tipi di testo e tradizioni discorsive, nonché sulle strategie linguistiche di costruzione testi che siano coerenti e coesi, pertinenti e non ambigui, possibilmente vagliati criticamente e non copiati pedissequamente, ben contestualizzati e sufficientemente "raffreddati" sul piano emotivo.

Che posto occupa la grammatica in questo discorso? Opportunamente, l'autore distingue tra la "grammatica implicita" (acquisita insieme alla lingua madre come set di regole che consentono di fatto la produzione e interpretazione di frasi ben formate) e "grammatica esplicita" (dispositivo culturale formato da un insieme di norme che regolano l'accettabilità delle diverse parole e frasi, e da un insieme di pratiche finalizzate ad acquisire una terminologia metalinguistica insieme a una maggiore consapevolezza rispetto alle strutture della lingua, necessaria per decodificare testi complessi).
Sicuramente, nell'ambito della fonologia, morfologia e sintassi della frase semplice, la padronanza della grammatica costituisce un requisito fondamentale per la buona costruzione e la corretta interpretazione di parole e frasi. Ma nell'ambito superiore della testualità, ciò che conta è la capacità di orientarsi in un tessuto complesso, facendo le scelte più opportune ai fini di una comunicazione efficace.

Particolarmente interessante, da questo punto di vista, mi sembra la distinzione tra la "verticalità sintattica" tipica del testo scritto tradizionale, caratterizzata da una complessità ipotattica che solo l'occhio e l'orecchio addestrati sanno riprodurre e decodificare, e la  "verticalità prospettica" tipica della scrittura digitale che aspiri ad avere una qualche profondità. In questo caso è l'uso dei capoversi e la collocazione di blocchi di testo in primo piano vs sullo sfondo a creare una prospettiva mossa, sia pure in superficie. Con un effetto che non è di semplice "mimesi del parlato", ma che consiste in una diversa architettura dei contenuti, più adeguata al canale di trasmissione del messaggio.
Perché le competenze di cittadinanza si misurano anche dalla capacità di gestire tipi di testi diversi, abbandonando le rigidità della composizione scolastica.


P.S.: Rileggendomi, mi rendo conto di aver usato una sintassi fin troppo ipotattica, tipica dell'immigrata (o e-migrata) digitale. Rileggerò il libro per migliorarmi.
 

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