sabato 11 novembre 2017

Giannettino vs Felicino: felici intuizioni ottocentesche


non basta che il maestro possegga la scienza, è necessario che studii ancora il modo più acconcio per comunicarla.
Così scriveva Giovanni Antonio Rayneri nei suoi Primi principi di metodica, libro rivolto agli insegnanti elementari, nello stesso anno (1867) in cui venivano pubblicati i primi Programmi per la scuola elementare.
La nascita del sistema scolastico pubblico nazionale nel periodo post-unitario è accompagnata da una crescente produzione di libri di testo rivolti (come in questo caso) ai soli maestri, o ai soli alunni. Questi ultimi dovevano servire non tanto a sostituire la lezione orale del maestro, ma, nelle parole di Paolo Vecchia (autore di un altro manuale per maestri, La nuova scienza dell'educazione, 1883)

a dar ordine e precisione al sapere, e aiuteranno l'allievo a ritornare da sé sulle cose apprese, allorché ne avrà bisogno per eseguire i suoi compiti o per altro motivo. 
Come sottolinea Mirella D'Ascenzo nel suo prezioso saggio Col libro in mano. Maestri, editoria e vita scolastica tra Ottocento e Novecento (SEI, 2013), da cui sono tratte le citazioni, la temperie culturale del positivismo - col rifiuto dell'astrattezza e frammentazione del sapere e la proposta decisa di un "metodo sperimentale" basato essenzialmente sull'osservazione e la riflessione -  porta con sé la creazione di nuovi strumenti didattici.



Anche la produzione di grammatiche è investita dal rinnovamento: la proposta di una grammatica "naturale" si accompagna alla creazione di libri di piacevole lettura, che rientrano nella categoria del "libro di testo romanzato".
Appaiono così una serie di libretti, più e meno fortunati, in cui le lezioni di grammatica (essenzialmente una trattazione delle parti del discorso) sono inserite in una cornice narrativa e proposte sotto forma di dialoghi briosi.
L'esempio più noto (per la fama del suo autore) è sicuramente La grammatica di Giannettino per le scuole elementari (1883) di Collodi, scritta negli stessi anni in cui, sul "Giornale dei bambini", prendevano forma le avventure di Pinocchio.

Ma non è la sola: Roberta Cella, autrice di un profilo storico delle grammatiche scolastiche, in corso di pubblicazione all'interno del IV volume della Storia dell'italiano scritto (Carocci), dedicato alle Grammatiche, ha trovato altri esempi di grammatiche narrativo-dialogiche ottocentesche, scritte da intellettuali-filantropi di cui ha ricostruito il profilo biografico: donne dell'alta borghesia (con doppio cognome) impiegate come istitutrici private (Maria Viani-Visconti), personaggi in vista nel mondo della scuola dell'epoca (Ulisse Poggi), avventurosi pionieri dell'insegnamento dell'italiano a stranieri (Lucillo Ambruzzi), avventurieri della scrittura a tutto campo (come il giornalista Collodi).




Accanto a Giannettino, prendono forma le birichinate di altri ragazzini riottosi e svogliati (Felicino, Gino, Gigino, Enrichetto e Lina) e le lezioni dei vari dottor Boccadoro, di padri, zii, madri e sorelle maggiori preposti al difficile e disperante "avviamento allo studio della grammatica": presupposto necessario a una buona educazione borghese, che prepari ragazzi "perbene" (come nella metamorfosi pinocchiesca), o almeno "migliori" (nel più ragionevole proposito dell'Ambruzzi).

La pagina che più mi ha colpita, tra quelle presentate - nel corso di una splendida lezione - dalla collega Cella alle mie studentesse, è quella in cui Ulisse Poggi, autore della trattazione più moderna, direttamente ispirata ai Principi di grammatica del toscano Raffaello Lambruschini (1861), presenta una descrizione schematica della proposizione o frase semplice, in cui è il verbo a farla da padrone.
Ecco allora che "TITO BALLA" è "una proposizione intera; perché il verbo BALLARE è sufficiente a manifestare il pensiero".
"TITO FA..." o "LA MAMMA COGLIE..." (frasi che il dialogato lascia opportunamente sospese) "non bastano a significare il pensiero intero".
Si tratta del principio della verbo-dipendenza: è tanto evidente quanto sorprendente a questa altezza cronologica. Ma altrettanto sorprendente è la modalità induttiva con cui si arriva, attraverso un "dialogo maieutico" tra maestro e allievo, alla scoperta della costruzione della frase.
La presentazione del reale e la guida all'osservazione diventano il modo per arrivare alle cognizioni, senza assuefarsi a riceverle passivamente dai libri.

In attesa di leggere il lavoro di Roberta Cella (il capitolo dedicato alle grammatiche narrative-dialogiche sarà pubblicato in un articolo in corso di stampa sulla rivista "Studi di grammatica italiana"), mi piace ricordare, a guisa di morale fiabesca, che a volte basta fare un salto indietro, per fare un deciso passo in avanti.

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