domenica 24 dicembre 2017

Sulla Rivista dell'istruzione



L'ultimo numero (5-2017) della Rivista dell'istruzione diretta da Giancarlo Cerini, appena uscita in formato cartaceo e scaricabile online per gli abbonati, è quasi interamente dedicato al tema del "curricolo verticale", con un Dossier dedicato al tema dell'inclusione e della formazione degli insegnanti di sostegno.
In attesa di leggere gli altri contributi, dedicati alle diverse didattiche disciplinari, propongo qui l'indice della sezione "Focus":

Un curricolo per le competenze chiave - Franca Da Re
La progettazione a ritroso - Cinzia Mion
Il curricolo verticale per lo sviluppo delle competenze linguistiche - Cristiana De Santis
Il curricolo verticale di matematica - Rossella Garuti e Nicoletta Nolli
Il curricolo verticale di scienze - Eleonora Aquilini e Anna Maria Dallai
Le Indicazioni programmatiche di storia, queste sconosciute - Antonio Brusa


Nuove indicazioni in materia curricolare sono allo studio della commissione ministeriale incaricata di dare seguito al decreto legislativo n. 62/2017 (norme in materia di valutazione e di certificazione delle competenze).
Ci auguriamo intanto che, al di là dei documenti ministeriali ("questi sconosciuti" agli insegnanti), e delle pratiche correnti ("queste sconosciute" ai legislatori), la riflessione di chi cerca con pazienza di cucire insieme diversi lembi di scuola possa accendere qualche luce, tra gli alberi addobbati e spelacchiati.

domenica 17 dicembre 2017

Tempo di regali (e di premi)


Il Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica 2017 , promosso dall'Associazione Italiana del Libro e dedicato a Giancarlo Dosi, è stato assegnato, per la sezione "Scienze dell'uomo, filosofiche, storiche e letterarie", al volume:

Tutto ciò che hai sempre voluto sapere sul linguaggio e sulle lingue, a cura di Francesca Masini e Nicola Grandi, Caissa editore.
Un libro al quale ho partecipato e che ho recensito su queste pagine.
Mi piace riportare qui il discorso di presentazione dei due curatori, rivolto all'affollata platea della Sala Convegni del CNR di Roma nel corso della finalissima del 14 dicembre.

"Ogni ricercatore è abituato a rispondere a delle domande. Noi linguisti non facciamo eccezione. Paradossalmente, però, le domande che ci vengono rivolte più spesso hanno per noi poco senso. Ad esempio: «Questa frase è corretta?», oppure la temutissima «Ah, il linguista… e quante lingue parli?». Poco senso perché sarebbe come chiedere a un medico quante malattie ha avuto, o a un astronomo su quanti pianeti è stato…

Quando fai notare che il linguista non è un poliglotta e nemmeno un grammar nazi, arriva la madre di tutte le domande: «ma quindi, concretamente, di cosa si occupa la linguistica?». In fondo, non dobbiamo sorprenderci: il grande pubblico è ormai abituato a libri divulgativi sulla lingua italiana, ma la linguistica – cioè quella disciplina che studia le lingue come chiave di accesso al linguaggio, la facoltà che più caratterizza la nostra specie e che è alla base di ogni nostra attività di pensiero – rimane sconosciuta ai più.
Come mai? Evidentemente, siamo stati buoni scienziati e pessimi divulgatori, almeno sin qui… La linguistica in effetti non è una scienza da frontman: rimane nell’ombra, come il batterista di una rock band. Eppure la linguistica è indispensabile per tanti strumenti che usiamo ogni giorno (da Google a Siri, da Word e Whatsapp). Insomma, un mondo senza linguistica sarebbe come una rock band senza batterista: suonerebbe lo stesso, ma peggio!
 
Ma allora, cosa fanno i linguisti?
Questo volume offre 44 risposte a questa domanda, quanti sono i capitoli che lo compongono, scritti da 39 linguisti che – per la prima volta nel nostro Paese – hanno scelto di raccontare con passione e orgoglio la loro disciplina.
Il libro è dedicato a Tullio De Mauro, che ne ha accompagnato con affetto la genesi e che non ha
fatto in tempo a concludere la sua prefazione. Se oggi siamo qui è anche grazie a lui e per lui."
Fellini diceva «ogni lingua diversa è una diversa visione della vita». De André cantava «Saper leggere il libro del mondo, con parole cangianti e nessuna scrittura». Ecco, la linguistica ci insegna a leggere il libro del mondo, a capire chi siamo! Leggere «Tutto ciò che…» aiuta quindi a capire il libro del mondo.


 Non vi sembra un regalo perfetto, per Natale?!
  

domenica 10 dicembre 2017

Lasciateci divertire! (Lettera da Parigi)

Ogni volta che vado a Parigi, cerco di capire "che lingua fa", ma anche quali sono le preoccupazioni e le soluzioni dei francesi per la salvaguardia dell'amata lingua nazionale.
In primo luogo, possiamo  godere (o piangere) del mal comune: anche il francese, come l'italiano, è una lingua "massacrata" dai media e dalle nuove tecnologie, minacciata dall'inglese e dalla moda del politicamente corretto, assediata dall'abbassamento generale delle competenze, di cui gli errori ortografici sembrano l'aspetto più preoccupante.





E ciò, nonostante la presenza di un "Consiglio superiore della lingua francese" in seno al Ministero della Cultura e la disponibilità a riformare periodicamente l'ortografia per eliminare alcuni ostacoli (è toccato recentemente all'accento circonflesso).
Insomma: ogni mondo è paese, e ogni paese è minacciato dal mondo.

In secondo luogo - come spesso capita quando le cose si complicano drammaticamente - uno dei modi per provare a salvare lingua e grammatica è... giocare e riderci su.
Non mi sorprende perciò trovare, negli affollati ripiani delle librerie parigine del quartiere latino dedicati alla grammatica del francese "dans tous ses états", tante pubblicazioni di tono divulgativo dai titoli ammiccanti:



 


Le quarte di copertina confermano la volontà di rovesciare lo stereotipo diffuso per cui grammaire sarebbe sinonimo di ennui et souffrance: un dispositivo apparentemente inutile e vessatorio. Eppure, liberté égalité fraternité vogliono che sia e resti una necessità, un diritto, una chance per tutti. Perché solo l'uso adeguato e responsabile della lingua può formare cittadini consapevoli.
La sfida è sempre la stessa: trasformare la complessità in ricchezza. Individuare poche e chiare "regole del gioco" e mettersi o rimettersi in gioco. Perché, come scrive Patrick Rambaud nella Prefazione al suo libro, "la grammaire n'est qu'un mode d'emploi qui évolue avec l'usage et le temps". Grammatica come "istruzioni per l'uso (corretto) della lingua".
Interessante per me scoprire che questo libro in forma di dialogo tra un adulto e un bambino è nato dall'incontro tra due scrittori premiati dal Goncourt - Rambaud e Erik Orsenna - con alcune scolaresche, e dalla sfida comune di "rendere la grammatica leggibile" per i più giovani (nel caso di Orsenna attraverso una fortunata serie di romanzi grammaticali per ragazzi tradotti in italiano).
Ecco allora un fiorire di metafore che aiutano a "vedere" le parole e le loro relazioni: i nomi diventano persone con una loro "vita in famiglia", i verbi "motori" dai meccanismi complessi e delicati cui bisogna assicurare una buona manutenzione. 

Ridendo e scherzando, c'è anche un altro modo di recuperare il piacere della grammatica: l'impertinenza. E' l'idea di un altro scrittore, Jean-Louis Fournier, che mette insieme "le buone regole e i cattivi esempi". Perché anche per dire le sciocchezze e le volgarità che fanno illuminare gli occhi di studenti sempre più distratti, bisogna conoscere la grammatica. E se gli esempi sono frasi assurde e irriverenti (come negli esempi di sillogismi del reverendo Lewis Caroll), forse, come insegnanti, avremo una chance più di far passare il messaggio.
Uno spunto subito accolto da un autore di grammatiche scolastiche, Yak Rivais, per costruire testi accattivanti.




E se provassimo anche noi? Come insegnanti e come autrici di manuali scolastici. 
Cominciando a riflettere sul messaggio che ci viene dagli scrittori: persone che vivono e lavorano con le parole, preoccupate del modo in cui si trasmette il sapere grammaticale: uno "charabia" che rende illeggibili le grammatiche e produce disaffezione verso la lingua, contribuendo a formare generazioni di nuovi illetterati. 

venerdì 1 dicembre 2017

"Per l'ultima sua porzione di stelle" (ricordo di M.L. Altieri Biagi)




Come trovare le parole - parole non usurate - per ricordare le persone che abbiamo avuto più a cuore, che ci hanno accompagnato nelle nostre scelte, indirizzando aspirazioni ondivaghe e confuse, insegnandoci la cura delle parole?
Più facile dire dove. Nei libri, certo, se di parole le relazioni si sono nutrite, e hanno generato altri libri.
Così vorrei ricordare Maria Luisa Altieri Biagi, "maestra" mia (ma non solo), di lingua e di parola.
Per farlo sfoglio uno dei suoi ultimi libri, una piccola "Gemma" cui ha affidato pensieri sparsi: Parola (Rosenberg & Sellier, 2012).

Credo nell'importanza della parola: non per conquistare il potere (efficacissimo lo strumento; troppo faticoso il risultato) ma per realizzare forme di pensiero e di immaginazione che riscattino dai percorsi quotidiani in cui si incanala e talvolta si incaglia la vita, anche nei casi più fortunati (cioè quando questa si svolge normalmente, evitando i trabocchetti della sorte o del caso).

Eccole, allora, che riaggallano: la parola che nomina e che simboleggia, la parola che ricorda e che immagina, la parola che perdona e che riscatta, la parola che argomenta e non si sgomenta.
La parola vibrante e risonante dei testi letterari.
La parola-scintilla della scienza.
La parola in scena del teatro.
La parola detta - nitida e autorevole - di chi sapeva tenere tutti in ascolto in un'aula universitaria.
La parola scritta - esatta, precisa, implacabile - di chi sapeva pensare e dare forma ai pensieri.
La parola libera, ma responsabile, e capace di fare le scelte giuste.
La parola femminile, e plurale.
La parola che, fino alla fine, ci assicura una quotidiana porzione di incanto, una razione di bellezza (come a Giovanni Drogo nel deserto dei Tartari).
La parola che sa lasciare spazio al silenzio, e rinunciare a interpretarlo.

E tra le parole, o meglio tra i sintagmi, riemerge anche grammatica: la "grammatica dal testo".

Perché la grammatica esiste, vittoriosamente scampata ai roghi della contestazione studentesca. Anzi, esistono due tipi di grammatica: 
c'è una grammatica che, in appositi libri, offre agli studenti paradigmi (cioè "schemi" riassuntivi delle diverse forme che può assumere una parola: un verbo, un nome, un pronome...) e regole sintattiche che spiegano come si combinano le parole in unità più ampie (frasi, periodi, capoversi, paragrafi, capitoli, testi di ogni tipo);
e c'è una grammatica che sta nei testi orali o scritti, come la circolazione del sangue sta nel nostro corpo.
La prima grammatica è descrittiva. La seconda può essere definita grammatica testuale, perché emerge dai testi; ma potremmo anche chiamarla grammatica osservativa perché nasce dalle osservazioni che ognuno di noi può fare leggendo un testo scritto o ascoltando un testo orale (o la sua registrazione). I due tipi di grammatica sono conciliabili.

Più osserviamo (cioè leggiamo e ascoltiamo con attenzione, parliamo e scriviamo con discernimento), più potremo fare a meno dei paradigmi e saremo "padroni" della nostra lingua e di noi stessi.
Anche di questa lezione, le sono debitrice.