domenica 25 febbraio 2018

Parlar materno

Quando vado, o andiamo, a fare formazione nelle scuole a un pubblico di insegnanti che abbraccia diversi cicli scolastici (in particolare primarie e secondarie di primo grado), una delle domande ricorrenti riguarda il quando bisognerebbe incominciare a fare grammatica "esplicita" e quanta grammatica andrebbe fatta nei diversi ordini di scuola.
Le Indicazioni nazionali, che pure danno punti di riferimento sensati, risultano poco lette e comunque poco seguite: citate al più nei POF e nei curricoli di istituto (quando presenti) ma di fatto non prese in considerazione dagli insegnanti nelle loro pratiche didattiche.
Molto più influenti risultano essere i "programmi impliciti" desunti dai libri di testo, che - in tempi in cui molte scuole si vantano di averli eliminati e sostituiti con materiali didattici più leggeri e duttili - appaiono condizionare le pratiche molto più di quanto gli stessi insegnanti siano disposti ad ammettere.

Possiamo e dobbiamo lamentarci della qualità dei libri di testo, ma dobbiamo ricordarci che la qualità dei materiali scolastici è strettamente correlata alla qualità della formazione degli insegnanti: insegnanti ben formati (dall'università in primis) sono in grado di valutare la qualità delle proposte editoriali e di stimolare, a scadenza più o meno breve, un cambiamento di indirizzo da parte degli editori scolastici. Purtroppo così non è: la scarsa preparazione degli insegnanti in ambito linguistico e grammaticale produce spesso un'inconsapevole adesione a materiali e pratiche didattiche più che tradizionali o slanci entusiastici verso sperimentazioni improvvisate e innovazioni parziali, in assenza di materiale didattico adeguato e coerente.

Ho già parlato, in un vecchio post, dei rischi connessi al parlare di grammatica valenziale come se fosse un giochino liquidabile in poche pagine (come fanno molte e diffuse grammatiche per la scuola secondaria di primo e secondo grado).
Questo rischio è particolarmente insidioso nei libri di testo per la scuola primaria, in cui certe idee sono dure a morire: prima tra tutte l'inossidabile vulgata per cui la "frase minima" sarebbe formata da soggetto e predicato (dove il predicato coincide sempre con il verbo), e tutto il resto sarebbe un insieme di espansioni. L'anticipazione e la banalizzazione di questi e altri contenuti grammaticali (quelli relativi alle parti del discorso in particolare) fanno il resto.
Ho raccolto una carrellata di esempi raccapriccianti di svarioni grammaticali presenti in questi testi tutt'altro che innocui: perché i loro contenuti spesso si fissano nelle menti di bambine e bambini con la forza tipica delle misconcezioni - facili da impiantare a difficili da espiantare. Presento questi esempi a lezione per mettere in allerta le future maestre, cercando di renderle consapevoli della delicatezza e importanza della questione.

Poiché tuttavia è impensabile (anche se auspicabile) cambiare le cose, di solito con le/gli insegnanti in servizio mi limito, ci limitiamo, a ricordare l'importanza della gradualità e del metodo empirico nell'avvicinamento alla riflessione grammaticale: molti esperimenti grammaticali a piccoli passi. La valenziale è un giochino intuitivo e divertente, ma inadatto a studenti che non hanno ancora raggiunto un'adeguata capacità di astrazione.
Delusione di quanti vorrebbero già lanciarsi e perplessità di quanti vorrebbero relegare il giochino proprio alle scuole primarie, per poter passare poi alle cose più serie (la grammatica tradizionale, la storia delle letteratura ecc.).
In questi casi, è di sollievo guardare indietro, a testi virtuosi del passato che conducevano per mano insegnante e allievi in una riflessione sensata e condivisa sulle parole e sulle frasi.
Mi è capitato ultimamente tra le mani un libretto edito nel 1946 dalle Edizioni Mondadori, nella ristampa anastatica del 2011 edita dall'Accademia della Crusca (con Prefazione di Maria Luisa Altieri Biagi): Parlar materno. Grammatica per la terza classe di Giovanni Nencioni e Felice Socciarelli.
 


Avevo già parlato, in un vecchio post, di un articolo di Giovanni Nencioni intitolato Perché non ho scritto una grammatica per la scuola (1989). Non conoscevo ancora questo libretto, remota e poco nota eccezione alla regola formulata per sé dall'allora Presidente dell'Accademia della Crusca. Un libretto di appena 70 pagine illustrate, rivolto a bambini di otto anni appena usciti dalla guerra, in cui è evidente l'abilità del fine linguista (in collaborazione con un esperto pedagogo) nel partire da conoscenze che i bambini hanno già per introdurre in modo graduale ed efficace una terminologia grammaticale essenziale.
Ecco allora un girotondo di ragazzi, ciascuno col proprio nome (Marco, Gino, Giorgio...) che lo identifica e un nome comune (ragazzo) che lo classifica. L'articolo arriva dopo, introdotto come un "gentile presentatore" che ci aiuta a riconoscere il genere dei nomi. Seguono gli accompagnatori del nome, gli aggettivi, che ci aiutano a capire "com'è" o "dov'è" o "di chi è" l'oggetto cui il nome si riferisce. E subito dopo il verbo, che ci aiuta a capire "cosa fa", "cos'è" o "com'è".
La frase o proposizione risulta sì formata da soggetto e predicato, ma quest'ultimo è esemplificato sempre da verbi che noi chiameremmo monovalenti, o da costruzioni con la copula:

Il sole      risplende.
La mamma     cuce.
Il leone     è feroce.
Roma         è una città.

Il predicato, insomma, è correttamente identificato ma non ulteriormente specificato (non si parla di predicato verbale e nominale), e rimane aperto ad accogliere eventuali elementi richiesti per completare l'informazione sul soggetto. Ci si ferma qui, senza voler dire tutto subito, e soprattutto senza dire cose sbagliate!
Viene introdotto anche il concetto di "gruppetto di parole" distinto dalla frase:

un cane mastino       Quel cane è un mastino.
la buona donna        Quella donna è buona.  
a passi svelti        I tuoi passi sono svelti.
di gran corsa         Luigi corre.

Segue nella trattazione il rappresentante del nome: il pronome personale. A questo punto diventa possibile parlare di un'altra informazione importante che il verbo ci dà: il "quando". Vengono così introdotti i tempi verbali e i rispettivi paradigmi.
Gli aiutanti del verbo (gli ausiliari) permettono di passare successivamente ai tempi composti.
Insomma: viene detto solo il necessario, in modo affabile e arioso, senza anticipazioni indebite, termini astrusi e definizioni banalizzanti.

Ci vorrebbe poco, eppure ci vuole tanto: tanto studio e tanta esperienza e tanta modestia da parte di chi scrive per arrivare a questa essenzialità.
E ci vuole molta consapevolezza da parte dell'insegnante che deve scegliere il testo e accompagnare bambine e bambini alla scoperta delle regolarità insite nel "parlare materno" che hanno spontaneamente acquisito.
Mi piace citare una frase di M.L. Altieri Biagi che le e gli insegnanti dovrebbero sempre tenere a mente:

Il valore di un libro non dipende solo dalle cose in esso contenute; ma anche da quelle in esso taciute (se inutili) o da esso espulse (se sbagliate).

 Iniziamo col togliere, dunque.

1 commento:

  1. Purtroppo anche le case editrici sono ostaggio degli insegnanti. ..se le pagine del libro di testo non corrispondono a quello che si è sempre fatto il libro non si vende
    Così chi scrive è costretto a innovare "senza che sia troppo evidente". Il problema sta nella formazione e selezione dei docenti.

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